L’ARTE DELLA CICATRICE di Massimo Parolini, su Claudia Piccinno, La nota irriverente , Il cuscino di stelle, 2019
“Dove si annida quel dolore/ che squassa lo sterno?/ Riemerge improvviso/ dagli abissi della memoria/ dilania l’attimo consapevole/ dell’irrimediabilità della morte./ Nessun’ altra sostanza mi resta/ se non l’amore dato e ricevuto./ E’ il solo antidoto a ogni velenosa/ deflagrazione…/ Così raccolgo i cocci e faccio un vaso,/ lì custodisco la forza di proseguire/ il cammino./ Un carburante rinnovabile/ fuoriesce dal vaso risanato,/ nessuna epigrafe ci svela il segreto/ di quanto coraggio ci impone la vita” (Il solo antidoto). L’antica pratica giapponese dello kintsugi o kintsukuroi (composta da “kin”, oro e “tsugi”, riunire-riparare) evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. Essa prevede l’utilizzo di un metallo nobile -oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro- per riunire i pezzi di un oggetto in ceramica frantumato, valorizzando i punti di sutura, impreziosendo le “cicatrici”, rendendo così l’oggetto riparato una realtà unica nella sua fragilità ricomposta. Claudia Piccinno usa la poesia con questo scopo, come evidenzia nella poesia sopra trascritta, tratta dalla sua ultima raccolta La nota irriverente (Il cuscino di stelle, pg. 72, 2019). La memoria è una risacca che deposita dolore, in questi versi, e la poesia è fatta di pagliuzze preziose che possono ricomporre le lesioni dell’anima. I frammenti di un discorso amoroso ininterrotto (“Resta di quei giorni/ una discarica di promesse,/ differenziata raccolte di parole,/ vuoti a perdere senza rimborso./ In fila per l’inceneritore/ riconosco le iniziali del tuo nome”, L’ipotesi di te) attraversano la sofferenza della disillusione (“Allo sconcerto reale/ subentrò la nitida certezza/ della tua inconsistenza/ della incompatibilità/ tra immaginario (il mio)/ e vuoto d’anima (il tuo)”, La pena del contrappasso), giungendo fino al livore scevro da possibilità di perdono: “corteccia vuota rimarrai/ dove nessun usignolo farà il nido./ Ho recitato la requiem eterna tra di noi/ e più non conta in quale girone precipiterai./ La pena del contrappasso/ in quest’inferno affronterai”, (ibid.), “Possa bruciare/ nel tuo fuoco fatuo/ nelle menzogne/ che racconti a te stesso/ nel fumo che vendi/ al migliore offerente” (Ed io ti maledico). Gli affetti famigliari (i cari: la madre terminale, il padre riemerso negli agrumi del dono), la compassione sodale per le donne vittime di femminicidio (vedi la giovanissima Noemi in Addio stellina mia) ridanno forma di speranza alla donna delusa che si possa superare la “perversa umanità” e restituiscono possibilità di preghiera e di fede nel bianco di una luce che possa risollevare dal buio (Bianco il foglio), divulgatrice di “accenti di speranza” in un reparto oncologico (La nota irriverente). E nella preghiera che nasce dal dolore la poetessa si rivolge a Dio: senza remore, senza paure di inganni, bugie o maschere, si affida, con semplicità fanciulla, al Padre che non può mentire o rifiutare: “Amami nella mia imperfezione/ e nei miei errori./ Amami nella misteriosa inquietudine/ che si avviluppa alle mie radici./ Amami Dio/ in ciò che ho di buono/ e ancor più in ciò che ho di sbagliato/ e liberami da un futuro remoto ingiusto e/ immeritato./ Amami nella rabbia che non trasformo in/ compassione,/ nei gesti che ho frenato/ per non oltrepassare la soglia verso la follia./ Amami e restituiscimi il candore di chi crede al/ futuro,/ amami perché io non perda lo stupore del/ presente./ Amami perché io faccia pace col passato./ Amami Dio/ perché nella beatitudine del tuo infinito io/ riposerò” (Amami Dio).
Massimo Parolini
“Dove si annida quel dolore/ che squassa lo sterno?/ Riemerge improvviso/ dagli abissi della memoria/ dilania l’attimo consapevole/ dell’irrimediabilità della morte./ Nessun’ altra sostanza mi resta/ se non l’amore dato e ricevuto./ E’ il solo antidoto a ogni velenosa/ deflagrazione…/ Così raccolgo i cocci e faccio un vaso,/ lì custodisco la forza di proseguire/ il cammino./ Un carburante rinnovabile/ fuoriesce dal vaso risanato,/ nessuna epigrafe ci svela il segreto/ di quanto coraggio ci impone la vita” (Il solo antidoto). L’antica pratica giapponese dello kintsugi o kintsukuroi (composta da “kin”, oro e “tsugi”, riunire-riparare) evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. Essa prevede l’utilizzo di un metallo nobile -oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro- per riunire i pezzi di un oggetto in ceramica frantumato, valorizzando i punti di sutura, impreziosendo le “cicatrici”, rendendo così l’oggetto riparato una realtà unica nella sua fragilità ricomposta. Claudia Piccinno usa la poesia con questo scopo, come evidenzia nella poesia sopra trascritta, tratta dalla sua ultima raccolta La nota irriverente (Il cuscino di stelle, pg. 72, 2019). La memoria è una risacca che deposita dolore, in questi versi, e la poesia è fatta di pagliuzze preziose che possono ricomporre le lesioni dell’anima. I frammenti di un discorso amoroso ininterrotto (“Resta di quei giorni/ una discarica di promesse,/ differenziata raccolte di parole,/ vuoti a perdere senza rimborso./ In fila per l’inceneritore/ riconosco le iniziali del tuo nome”, L’ipotesi di te) attraversano la sofferenza della disillusione (“Allo sconcerto reale/ subentrò la nitida certezza/ della tua inconsistenza/ della incompatibilità/ tra immaginario (il mio)/ e vuoto d’anima (il tuo)”, La pena del contrappasso), giungendo fino al livore scevro da possibilità di perdono: “corteccia vuota rimarrai/ dove nessun usignolo farà il nido./ Ho recitato la requiem eterna tra di noi/ e più non conta in quale girone precipiterai./ La pena del contrappasso/ in quest’inferno affronterai”, (ibid.), “Possa bruciare/ nel tuo fuoco fatuo/ nelle menzogne/ che racconti a te stesso/ nel fumo che vendi/ al migliore offerente” (Ed io ti maledico). Gli affetti famigliari (i cari: la madre terminale, il padre riemerso negli agrumi del dono), la compassione sodale per le donne vittime di femminicidio (vedi la giovanissima Noemi in Addio stellina mia) ridanno forma di speranza alla donna delusa che si possa superare la “perversa umanità” e restituiscono possibilità di preghiera e di fede nel bianco di una luce che possa risollevare dal buio (Bianco il foglio), divulgatrice di “accenti di speranza” in un reparto oncologico (La nota irriverente). E nella preghiera che nasce dal dolore la poetessa si rivolge a Dio: senza remore, senza paure di inganni, bugie o maschere, si affida, con semplicità fanciulla, al Padre che non può mentire o rifiutare: “Amami nella mia imperfezione/ e nei miei errori./ Amami nella misteriosa inquietudine/ che si avviluppa alle mie radici./ Amami Dio/ in ciò che ho di buono/ e ancor più in ciò che ho di sbagliato/ e liberami da un futuro remoto ingiusto e/ immeritato./ Amami nella rabbia che non trasformo in/ compassione,/ nei gesti che ho frenato/ per non oltrepassare la soglia verso la follia./ Amami e restituiscimi il candore di chi crede al/ futuro,/ amami perché io non perda lo stupore del/ presente./ Amami perché io faccia pace col passato./ Amami Dio/ perché nella beatitudine del tuo infinito io/ riposerò” (Amami Dio).
Massimo Parolini